La sicurezza di essere sfruttati

Negli ultimi giorni, la grancassa filogovernativa sta dipingendo il nuovo ‘decreto sicurezza’ come il superamento degli odiosi decreti ‘sicurezza’ e ‘sicurezza-bis’ del governo gialloverde, passati agli onori della cronaca come ‘decreti Salvini’. Il leader del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, ha immediatamente reso noto al mondo che “I decreti Salvini non esistono più”.

Come prevedibile, l’attuale opposizione si strappa le vesti, paventando un’imminente invasione di immigrati. Il Giornale, ad esempio, scrive senza mezzi termini: “Demoliti i decreti Salvini, riprendono gli arrivi”. Quasi un miracolo, considerando che il nuovo decreto, che modifica l’impianto normativo dei decreti Salvini, non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale e, quindi, non è ancora in vigore. Di conseguenza, non è neanche ancora disponibile un testo ufficiale. Le uniche valutazioni possibili, quindi, sono quelle suggerite dal comunicato del Governo che ha accompagnato il varo del provvedimento.

Il decreto, per quel che riguarda l’immigrazione, modifica le norme in materia di requisiti di rilascio del permesso di soggiorno per esigenze di protezione del cittadino straniero, nonché di transito di unità navali in acque territoriali italiane. In sostanza, cambia la normativa che prevede il divieto di espulsione e respingimento laddove il migrante sia a rischio di subire tortura, prevedendo che il divieto non si applichi anche nel caso di rischio che lo straniero sia sottoposto a trattamenti inumani o degradanti. Alcune categorie speciali di permesso di soggiorno, in particolare quelle relative a protezione speciale, calamità, residenza elettiva, acquisto della cittadinanza o dello stato di apolide, attività sportiva, lavoro di tipo artistico, motivi religiosi e assistenza ai minori, vengono incluse tra quelle in cui è possibile convertire il permesso speciale in permesso di lavoro. Il decreto va a incidere, inoltre, sul sistema di accoglienza per i richiedenti protezione internazionale e per coloro che sono già interessati da tale protezione.

In realtà, al di là dello sterile e stucchevole balletto di accuse, rivendicazioni, cifre sugli sbarchi, la sostanza è cambiata poco. Certo – e ciò va detto – le nuove norme sono migliorative rispetto alle precedenti. Ma, ci sia anche consentito dire, ci voleva poco. I decreti Salvini, infatti, si erano spinti nella melma in maniera inedita, imponendo veri e propri sequestri delle navi (e delle persone) in attesa di sbarco, risultando spesso difficilmente applicabili e creando conflitti con la Costituzione. Insomma, la cancellazione di questa immondizia è lo stretto indispensabile.

Il problema, come spesso capita, è in ciò che resta invariato. E ciò che resta invariato è, probabilmente, la parte più importante delle politiche migratorie, nonché dell’apparato repressivo delle proteste di piazza messo su con i precedenti decreti. Resta il reato di clandestinità, introdotto nel 2009. Restano i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), istituiti per la prima volta nel 1998 con la legge Turco-Napolitano (e noti, allora, come Centri di Permanenza Temporanea – CPT) e destinati ad ospitare i ‘migranti irregolari’ in attesa di rimpatrio. Restano le condizioni pietose in cui gli immigrati sono tenuti in questi centri, condizioni nelle quali trovano terreno fertile anche episodi violenti, come il pestaggio, avvenuto nel gennaio 2020 nel CPR di Gradisca d’Isonzo, di un immigrato georgiano, Vekhtang Enukidze, morto in seguito alle ferite riportate. Un pestaggio avvenuto in circostanze ancora poco chiare.

Resta, soprattutto, la criminalizzazione del ‘migrante economico’. Se non sei un perseguitato politico, se nel tuo Paese non c’è la guerra o il genocidio, se non sei perseguitato per la tua religione, ma stai solamente morendo di fame, allora, fratello, resta a casa tua. Qui non ti vogliamo, a meno che non rientri nelle quote di stranieri che servono al sistema produttivo italiano. In altri termini, puoi entrare, ma solo se sei utile e disponibile allo sfruttamento del capitale. In caso contrario, non provare a farti vedere da queste parti, perché ti impacchettiamo e ti rispediamo a casa, ovviamente dopo averti fatto trascorrere un po’ di tempo in quegli ‘alberghi a cinque stelle’ che sono i CPR, in condizioni igienico-sanitarie spesso disumane.

Ma perché il migrante economico è criminalizzato? Perché è considerato come la peste? Su questo ci siamo spesso soffermati, ma tornare sull’argomento è sempre utile. In questo caso, serve a sottolineare la sostanziale continuità tra i decreti Salvini del governo gialloverde e i decreti ‘anti-Salvini’ del Governo Conte-bis.

La criminalizzazione del migrante economico ha una funzione ben precisa, che consiste nello scavare un solco tra lavoratori stranieri e lavoratori italiani (o, in generale, lavoratori autoctoni), in modo da impedire che le lotte dei secondi si fondano con quelle dei primi. Dipingere i lavoratori stranieri come ‘ladri di lavoro’, disposti a lavorare per quattro soldi e, quindi, come una minaccia per i lavoratori italiani, ha esattamente questa funzione. Chiariamo prima un punto: c’è naturalmente del vero nel fatto che molti dei lavoratori che vengono dai paesi extra-UE sono abituati a tenori di vita inferiori rispetto a quello dei lavoratori dei Paesi economicamente più avanzati. Di conseguenza, è chiaro che se si mettono gli imprenditori nelle condizioni di poter approfittare di questa disparità di condizioni di vita, essi faranno di tutto per ottenere manodopera a buon mercato, da sostituire a quella autoctona o da utilizzare come strumento di minaccia nella negoziazione delle condizioni di lavoro.

E tutto ciò può avvenire non perché il sistema legale che regola l’immigrazione sia particolarmente generoso nei confronti del lavoratore straniero, ma proprio per la ragione opposta. Costringere un migrante economico alla clandestinità favorisce lo sfruttamento a basso costo da parte degli imprenditori di soggetti che, in quanto clandestini, hanno pochi o zero diritti. Allo stesso modo, tenere un lavoratore in condizione di illegalità impedisce, di fatto, la creazione di un fronte comune con i lavoratori italiani. A maggior riprova di ciò, si pensi all’assenza di un salario minimo garantito per legge: una tale legge per tutti i lavoratori, siano essi bianchi, neri o a pallini, unirebbe la classe lavoratrice e impedirebbe di utilizzare i lavoratori più deboli e disperati (spesso ma non sempre stranieri) per abbassare i salari.

Ma, come dovrebbe essere chiaro da quanto appena detto, gli unici a godere, effettivamente, di questa situazione, sono proprio gli imprenditori, che possono avere a disposizione manodopera sottopagata e pronta a rinunciare a qualsiasi diritto pur di ottenere quel poco che occorre a garantirsi la sopravvivenza.

Questa è la sostanza economica della questione immigrazione e questa è la sostanza politica delle scelte compiute negli ultimi decenni, che hanno teso, sempre e invariabilmente, a favorire le classi sociali più abbienti, a scapito dei lavoratori, qualunque sia la loro provenienza geografica. Ogni scelta politica genera conseguenze che possono essere favorevoli per una classe sociale e sfavorevole per l’altra. In altre parole, possono spingere verso l’alto i profitti (e, quindi, in basso i salari) e viceversa. Le recenti scelte politiche sull’immigrazione, in perfetta coerenza con quanto avviene nel campo della politica monetaria e della politica fiscale, della liberalizzazione del mercato del lavoro e dei movimenti di capitale, hanno l’obiettivo di indebolire le rivendicazioni dei lavoratori e consentire al capitale di appropriarsi di parti sempre più consistenti del valore della produzione. In parole povere, di aumentare quella parte di PIL che va a finire nelle tasche dei padroni.

Si aggiunga a questo che, per quanto riguarda l’ordine pubblico e la repressione delle lotte sociali, nulla è cambiato rispetto ai decreti Salvini. Per esempio, il reato di ‘blocco stradale’, con pene previste fino a sei anni, rimane immutato. Sembra abbastanza evidente l’intento di colpire le lotte sociali come i cortei non autorizzati, i picchetti del settore della logistica o le pratiche del movimento NO-TAV. Anche qui, nella sostanza, pare che nulla sia cambiato rispetto a quanto fatto dal governo gialloverde prima e da quello giallorosa poi. La repressione delle lotte dei lavoratori per ottenere condizioni migliori o impedire che queste peggiorino è funzionale ai profitti. Dunque, una volta introdotta una nuova forma di repressione, un’arma, una regola, un escamotage, nessun Governo successivo la ritira.

Le politiche del governo Conte-bis in materia di “sicurezza”, in maniera non sorprendente, non fanno eccezione, ma sono dipinte come una luce di civiltà che squarcia le ombre gettate dai governi precedenti (nel caso di specie, il primo Governo Conte). Contro questa narrazione, che dimentica, volontariamente, le conseguenze di classe delle politiche migratorie, evidenziando soltanto il (pur sacrosanto) lato umanitario della questione, è necessario ribadire un concetto: i lavoratori, italiani o stranieri che siano, hanno un obiettivo, che è quello di veder migliorare le proprie condizioni di vita. Salari più elevati, orari più umani, garanzie sugli infortuni e contro la disoccupazione, tutele di maternità e paternità, pensioni dignitose, sicurezza sul posto di lavoro, lotta alla precarietà, sono battaglie che non possono, in alcun modo, valere per gli uni e non per gli altri. L’aumento degli strumenti repressivi altro non è che un tentativo di arginare queste battaglie. La forza dei lavoratori passa anche per l’unità tra fronti di lotta apparentemente diversi, ma che in realtà hanno lo stesso scopo: impedire che il capitale ci tolga quei pochi diritti che ci restano e riconquistare, centimetro per centimetro, potere contrattuale e migliori condizioni di lavoro e di vita.

2 pensieri su “La sicurezza di essere sfruttati

  1. Questa retorica inizia ad essere insopportabile.
    Iniaziamo dal numero degli arrivi, che aumentano o no, a seconda di questo o di quello.
    È davvero così complicato da capire, che se il messaggio che passa è: “liberi tutti”,
    la gente sarà incentivata a partire?
    O credete che prima vadano a guardare la punteggiatura dei decreti?
    Cos’è? Fate finta di non sapere che con i “motivi umanitari”, una scusa si trova sempre, specie se a suggerirla, sono le associazioni che campano di accoglienza e che ben conoscono le pieghe della legge? Non è un problema per voi, è evidente, che il “motivo umanitario” non sia riconosciuto in nessun altro luogo che l’accoglionante Italia.

    Altra cosetta da ricordare agli “umanitari”: le cicatrici che quasi tutti gli immigrati illegali
    esibiscono come prova dei maltrattamenti, sono in realtà cicatrici da risse con coltelli e vetri, che da quelle civilissime parti, sono sport nazionale.

    A voi sembra scandaloso, il sequestro di una nave battente bandiera straniera, che
    facendo la spola dalle spiagge libiche viene a scaricare il prezioso carico in Italia,
    ma sappiate che siamo in moltissimi, ad essere scandalizzati dal fatto che gli sia permesso, non solo di favorire l’immigrazione illegale, ma persino di speronare navi militari italiane senza conseguenze. Innanzitutto, i naufraghi non si aspettano vicino alla spiaggia, non pagano per essere traghettati, e soprattutto, sbarcano con gioia in qualunque porto ove non siano in pericolo di vita. Altrimenti, non si tratta di naufraghi ma profughi, e in tal caso facciano domanda all’Olanda o alla Germania, sul quale suolo sono sbarcati. È questa ipocrisia, ad essere un’immondizia, cari signori.

    Nell’articolo lamentate il sovraffollamento dei centri di accoglienza, come se fossero i loro gestori, ad invitare gente a oltranza. Peggio, lamentate il “reato di clandestinità”, che spingerebbe le persone fuori dai circuiti virtuosi. No, carissimi, dovrebbe servire da deterrente a partenze indiscriminate. Nel lavoro nero o sfruttato, ci si finisce, quando la domanda supera di molto l’offerta, e questa regola, quando la sinistra era di sinistra, non fingeva di non conoscerla, come fa (e fate anche voi) oggi.

    Ora arriviamo al “migrante economico”, che nella vostra realtà dissociata dovrebbe trovare eguale e benevola accoglienza. Perchè voi credete che arrivare in massa, dove lavoro non c’è, e magari senza anche sapere la lingua, non significa NECESSARIAMENTE finire in mano al caporalato, alla criminalità o sotto il ponte alcolizzati e depressi. NO!
    Per voi c’è lavoro per tutti, lo Stato sarà in grado di offrire un alloggio a tutti e magari corsi di italiano. E la cultura diversa è una risorsa, non un ostacolo.
    Ma in che mondo vivete gente? Uscite dai Parioli, signori miei, e fatevi un bel giretto per l’Italia. Avete voglia, di redditi minimi garantiti!

    E in ultimo, a tutti quelli che fanno gargarimi con chiacchiere vuote, tipo: “bisogna prima garantirgli il diritto a non migrare” (Er Dibba, per dirne uno)… Bravi! E come? Convincendo le multinazionali che delocalizzano, a strapagare i ruandesi? O convincendo i francesi a piantarla di arricchirsi col Franco FCA? Oppure spiegando ai cinesi che non si possono estrarre terre rare e diamanti senza pagare bene i congolesi? Bello! lo dico davvero. Ma quanto vi ci vorrà? Credete di farcela in tempi utili?

    Ve la do io un’idea? Piantatela con questo buonismo petaloso.
    Si diffonda invece il messaggio forte e chiaro: “qui o si entra legalmente o NON SI ENTRA”. Si difendano i confini anche con le cattive, ove fosse necessario. Se qualcuno si ostina a non rispettare le regole, paghi come e fin dove crete: mal cerco non è mai troppo.
    Che le madri e i padri africani, la piantino di pagare ai figli scapestrati viaggi di sola andata; è alla la disperazione che condanneranno i loro figli e i popoli costretti a sobbarcarsi integrazioni impossibili e povertà in aumento costante. Che utilizzino il denaro del viaggio per aprire attività; si creino un futuro al loro Paese, anzichè rincorrere sogni.
    Non si indebitino le famiglie meno abbienti, per mandare il figlio a mendicare assistenza.
    Perchè quell’assistenzialismo non porterà benessere nè a loro, nè alle loro famiglie, nè al loro Paese nè ai popoli ospitanti. Non è sottraendo giovani e ricchezze, che l’Africa si riprenderà. Piuttosto, si insegni loro a non partorire un figlio all’anno, per abbandonarlo a sè stesso. Si promuovano progetti scolastici, invece di distruggere le scuole anche qui, con scellerati pauperismi che alla fine dei giochi, favoriscono l’iper capitalismo, sinistramente paladino delle ONG e delle politiche “democratiche”.
    A volte, mi chiedo seriamente da che parte state, cari buonisti, da quella dei deboli, o da quella degli avvoltoi? Perchè la vostra cecità è a dir poco sospetta.

    P.S. È un caso, che da quando le varie sinistre hanno iniziato ad abbracciare i buonismi melliflui, le classi operaie, hanno iniziato a perdere i diritti e la dignità?

  2. Salve.

    Prima di tutto, grazie per il commento. Quando nel pezzo parliamo di melma, ci riferiamo esattamente al suo modo di ragionare, quindi il suo è un esempio prezioso.

    Ci scrive che il reato di clandestinità “dovrebbe” servire da deterrente per bloccare le partenze. Non mettiamo in dubbio che lei lo pensi davvero. Quel che mettiamo in dubbio è che si possa pensare davvero che questo sistema funzioni, tanto è vero che anche lei usa il condizionale. Checché se ne dica, chi parte, mettendo a rischio la propria vita in una traversata dal destino incerto, non lo fa certamente per poter comprare due macchine invece di una, o l’auto di lusso invece dell’utilitaria. Parte per esigenze sicuramente più pressanti, spesso anche solo per aumentare le proprie probabilità di sopravvivenza. Crede davvero che vadano a guardare la punteggiatura dei decreti?

    Interessante il suo tentativo di ragionare in termini di domanda e offerta. Per essere uno che parla di iper capitalismo, sembra aver fatto proprio l’armamentario ideologico di un liberismo ormai quasi caricaturale, che non trova spazio neanche nella più recente teoria economica dominante. Nella contrattazione delle condizioni di lavoro, la disponibilità di manodopera gioca sicuramente un ruolo, ma non così dominante come lei lo dipinge. Accanto alla disponibilità di manodopera ci sono le garanzie all’occupazione, la lotta al lavoro nero e al caporalato, i sussidi di disoccupazione, la regole sui licenziamenti. Tutte cose che il suo mondo politico di riferimento (quando leggiamo di navi speronate, il cerchio si stringe) non ha alcuna intenzione di modificare in senso favorevole ai lavoratori, italiani o meno. Rimandiamo, dunque, al mittente la sua accusa di ipocrisia, poiché, così come i suoi politici di riferimento, dei diritti dei lavoratori si ricorda soltanto quando si tratta di lasciar morire di fame i poveri cristi.

    È senz’altro vero che la chiave per migliorare davvero la situazione dei paesi in via di sviluppo è la crescita di questi ultimi. È, però, altrettanto vero che questi paesi giocano su un terreno non livellato, in quanto si inseriscono in un gioco in cui partono fortemente svantaggiati (e gli altri giocatori non hanno alcun interesse a “rendere la competizione più interessante”). Ci sembra che lei abbia la soluzione in tasca: fare meno figli, aprire attività. Insomma, sembra che la spiegazione del sottosviluppo sia prettamente culturale. Ancora una volta, senza alcun ragionamento e senza alcuna considerazione che tenga in debito conto i rapporti di forza tra classi, fa un ragionamento che farebbe la sua porca figura alla sagra dei rutti di Pontida, ma che non reggerebbe il vaglio di qualsiasi analisi sociologica ed economica dotata di un minimo di serietà. E, soprattutto, ancora una volta fa suo quell’armamentario di luoghi comuni su popoli più o meno adatti allo sviluppo che tanto bene ha fatto al capitalismo che si avviava a diventare iper, fornendo una giustificazione ideologica allo sfruttamento dei continenti inesplorati e ancora non toccati dallo sviluppo economico, abitati da barbari che, incapaci di gestirsi da soli, hanno bisogno del padrone bianco che dica loro a che ritmo riprodursi e quanto sia facile aprirsi una fabbrichetta nel Tigrè.

    Infine, anche noi pensiamo che sia giusto fare in modo che in Italia si entri solo legalmente. Abbiamo, però, diverse idee su dove porre il confine tra ciò che è legale e ciò che non lo è. Lei pensa che sia giusto rimandare a casa sua chi è nato al di fuori dei confini dell’Unione Europea. Noi pensiamo che stabilire una tale forma di illegalità sia il più grande regalo a chi vuole mettere gli immigrati contro gli italiani, permettendo a lei e agli altri come lei di sentirsi al sicuro solo perché con i documenti in regola, mentre i padroni le scavano la fossa (mentre lei, con atteggiamento bovino, applaude e ringrazia).

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